La Recensione: “Il ritratto di Dorian Gray”



a cura di Benedetta Scillone

 

C’è un quadro nero di quinte foderate in panno e intervalli di luci gialle a incorniciare lo studio di Basil Hallward, dove il pittore è intento a dare gli ultimi ritocchi alla sua opera più bella: il ritratto di un giovane di nome Dorian Gray. Il silenzio della scena è interrotto dall’arrivo di Lord Henry Wotton (Andrea Turla) nobile inglese, che ha fatto degli aforismi e dei paradossi uno stile di vita. Egli punzecchia, infastidisce, corrompe fino a traviare non solo l’esistenza dell’amico pittore, ma anche l’oggetto delle sue attenzioni: Dorian Gray, tornato a casa dell’artista per posare un’ultima volta. Edoardo Mascheroni nei panni dell’inesperto e fanciullesco Dorian, interpreta con grinta un personaggio tanto amato dal pubblico quanto difficile da portare in scena. La parabola discendente del protagonista è data non solo dallo scorrere inesorabile del tempo -reso attraverso luci rosse e maschere neutre di ombre, fumo di sigarette e l’impassibilità dell’attore davanti all’immoralità e all’orrido-, ma anche dal suono della sua voce, sempre più calda e controllata a mano a mano che il personaggio si corrompe e si accartoccia su se stesso, come svuotato.

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Sarà con la scomparsa di Basil -personaggio scomodo, ma prezioso, destinato a morire per mano della bellezza che tanto aveva adorato-, che Dorian chiuderà il capitolo della propria giovinezza, inaugurando quello della maturità e consacrandolo alla ricerca continua del piacere. Mattia Polisano, che interpreta lo sfortunato artista, mostra al pubblico tutta la fragilità del bene che attraversa l’opera wildiana: pallido, ingrigito, vestito di tenui colori pastello, messo progressivamente all’angolo nella vita del protagonista, scomparirà dalla scena attraverso poche battute accennate fra Dorian e la scienziata Lana Campbell, nel chiuso claustrofobico di una soffitta.

La puerile e pericolosa vanità di Dorian sembra però arrestarsi davanti al volto innamorato di Sybil Vane (Anna Butti): attrice superba, confinata in un infimo teatro dei sobborghi di Londra sotto l’arcigna tutela della madre (Anna Moscatelli), scopre con Dorian il vero amore che fino ad allora aveva solo recitato. A causa di questo amore nuovo, Sybil abbandona l’arte del teatro per la realtà dell’amore di Dorian, recitando male e travisando i sogni infantili del ragazzo, che furioso e disgustato se ne allontana, causando così la fine della giovane.

Il tempo scorre, gli amici e i conoscenti invecchiano, i difetti si acuiscono, ma il volto di Dorian rimane una maschera di immutata bellezza e candore. Le musiche dal vivo di Matteo Faotto accompagnano il pubblico attraverso gli anni dello sconsacrato pellegrinaggio del ragazzo, attorno al quale ruota un mondo di personaggi “minori”, tali in realtà solo su carta, poiché bucano lo sfondo nel quale sono reclusi i personaggi di Lana Campbell (Anna Castoldi), la fumatrice d’oppio (Jessica Casalino), James Vane (Giorgio Agosta del Forte) e Lady Wotton (Chiara Amabile), che sono un piacere tanto da vedere quanto da ascoltare, talmente forti e coinvolgenti sono le loro intenzioni.

Un plauso alla coppia di registi, Brenda Solenne e Yuri Maritan, che si sono cimentati con un mostro sacro (non possiamo definirlo altrimenti), riuscendo a trascinare con sé un gruppo di attori dalle esperienze e inclinazioni più diverse, dando prova di quanto sia difficile e assolutamente possibile affrontare un testo tanto complesso e sfaccettato come quello di Wilde.

Dorian. Dorian, infine ci rivolgiamo a te, proprio a te verso quella che sentiamo essere la fine del tuo dramma. Togli il velo dal quadro, che per tanti anni hai lasciato nascosto e dimenticato. Lascia vedere anche a noi cosa accade quando si vuole rinunciare alla propria anima.

Posso resistere a tutto, tranne che alle tentazioni.

Togli il velo Dorian, vogliamo vedere il quadro che ci rappresenta.