La Recensione: “Momo”



a cura di Francesca Perissinotto

 

La stagione 2013-2014 si chiude con il più delicato spettacolo della rassegna: “Momo”, di Michael Ende, per la regia di Beatrice Marzorati e Brenda Solenne.

Lo scrittore tedesco cala il pubblico nell’intricata vicenda di Momo, bambina di cento anni (o forse centodue), dotata del dono dell’ascolto: chiunque parli con lei riesce a conoscere sé stesso, indagare la fonte dei propri problemi e placarsi nella serenità. Le prime difficoltà sorgono quando, in città, arrivano gli agenti della Cassa di Risparmio del Tempo. I cosiddetti “Signori Grigi” pian piano convincono tutti a depositare presso la loro agenzia il tempo, che i clienti potevano risparmiare affrettandosi nelle piccole cose quotidiane. Una vera e propria epidemia di Fretta colpisce la città e a nulla valgono i tentativi di Momo e dei suoi amici di risvegliare i cittadini. Tutto è destinato a cambiare, però, nel momento in cui uno degli agenti cercherà di convincere anche la piccola protagonista, cadendo inavvertitamente trappola del suo dono e rivelando la grande frode portata avanti dai Signori Grigi, in realtà non-umani ladri del tempo. Grazie alla tartaruga Cassiopea e alla protezione di Mastro Hora, Momo riuscirà però a sconfiggere l’agenzia e a riportare il tempo nella vita dei cittadini; con esso, il piacere ed il senso della vita stessa e l’essenza dell’umanità.

La bellezza della storia narrata è risaltata dalla capacità dei giovani attori. Spicca, in particolare, la giovane Momo (Agnese P.), che con cognizione disarmante e sensibilità anima un personaggio singolare per la sua intensa semplicità, non ingenua e tenace. Cattura il pubblico per la sua dolcezza la giovanissima Cassiopea (Clara T.). I Signori Grigi dimostrano la forza necessaria alla parte e dominano il palco con la loro sfrontata presenza scenica.

Meritano particolare attenzione i costumi e l’uso delle luci, linguaggi in questo caso fortemente complementari. I bambini e la fantasia declinano la vicenda illuminando il palco di un caleidoscopio vivace, pieno; i Signori Grigi rubano anche quel colore, coprendolo dapprima col fumo dei loro sigari e iniettando di ombre ogni cosa. I costumi catturano l’attenzione per la fedeltà all’immaginario endeliano e la cura dei dettagli; i sigari di luce rossa dei Signori Grigi ben contrastano con le buie evanescenze legate al loro apparire, tesa ad accrescere il senso di minaccia conforme al loro ruolo.

Efficace, nella missione dello spettacolo di creare un ponte diretto tra realtà e finzione, forte di un messaggio chiaro, è la scelta di fare incontrare al pubblico le tre narratrici già prima dell’inizio della spettacolo, presenti in sala e scambiate per maschere sino al momento di apertura della scena, in cui saliranno sul palco.

La vicenda dialoga quindi tra contesti attuali e immaginari: Ende ricorda che l’agire senza coscienza dell’atto, perché impegnati in “cose importanti da fare” per cui altre attività sono sacrificabili, aliena dal gusto del vivere e priva di senso il tempo che sfruttiamo. Portavoci di questo inno al saper cogliere il piacere del momento sono i più giovani della Compagnia figinese, che con grande passione e senza timore animano di realismo questa favola “senza tempo”.